Un pane che è "Corpo di Cristo".
21-06-2023 01:15 - IL VANGELO SECONDO DON PIERO
Ivrea (TO), di Don Piero Agrano. Un pane che è “Corpo di Cristo”.
Paradossalmente, è proprio questa immolazione del Verbo a garantire al “pane della vita”, che Lui è, la forza di dispensare vita. E non solo in termini biologici, materiali. C'è dunque una carne immolata, un sangue versato. Carne e sangue offerti e ricevuti nel sacramento dell'Eucaristia. Gesù pone l'enfasi sul “mangiare” e “bere”: “Se non mangiate la carne del Figlio dell'Uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”. L'affermazione di Gesù, nel quarto vangelo, si comprende solo dentro ad una logica simbolico/sacramentale. Non si tratta naturalmente di mangiare carne umana, di antropofagia! I segni conviviali, eucaristici, del pane e del vino, rendono presente la persona fisica del “Figlio dell'Uomo”. La loro distinzione suggerisce il drammatico separarsi di “carne e sangue”, nel sacrificio della Croce. L'assunzione di quel cibo e bevanda, nel contesto della “Cena eucaristica” non è fine a se stesso. E' il mezzo richiesto per raggiungere una comunione duratura con il Cristo, morto e risorto. E' la condizione data per ottenere la vita dispensata dal celeste Figlio dell'Uomo. Il legame “sacramentale” (mangiare “la carne” del Figlio dell'Uomo nel pane consacrato …) diviene legame personale. Questo legame viene reso in modo originale facendo ricorso da un verbo di largo uso nel quarto vangelo: “rimanere”. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. “Rimanere” non evoca una semplice posizione “statica”, il non muoversi. “Rimanere” è il mantenere una forte relazione personale: l'uno nell'altro! Una solida relazione che fa riferimento nientemeno che alla relazione di Gesù con il Padre: “Come io vivo per il Padre, così chi mangia me vivrà per me”. Il legame eucaristico con Cristo attinge forza dal legame del Figlio con il Padre. Per concludere, l'Eucaristia non può essere considerata una “mezzo salvifico” a se stante, ma può essere compresa solo in relazione alla missione di Cristo, di portare, di donare vita. E' Lui il “pane della vita” che il Padre dona al mondo, ben più di quanto ha fatto, con gli Ebrei nell'esodo, facendo scendere su di loro il “pane del cielo” che era la manna. La condizione necessaria per accogliere il dono del “pane della vita”, assicurato mediante l'Eucaristia, è la fede nel Verbo di Dio, rivelatore del Padre, portatore di vita. L'Eucaristia è segno della fede, comporta un atto di fede. Nell'Eucaristia quella fede fa i conti con la logica sacramentale per cui la “carne ed il sangue del Figlio dell'Uomo” ci sono assicurati negli elementi conviviali del pane e del vino. Con tutto ciò che questi significano nell'esperienza umana del pasto consumato insieme.
Don Piero
Commento al vangelo della Festa del Corpo e del Sangue del Signore.
Ai “vecchietti” (fra i quali si annovera chi scrive) il “Corpus Domini” richiama alla mente processioni e benedizioni, luminarie ed infiorate, ostensori dorati e lenzuola ricamate esposte ai balconi. Ed i bambini della Prima Comunione che spargevano sulla strada petali di rose. Una scenografia che puntava sulla visibilità anche sociale di quella celebrazione della Chiesa, in un mondo che si diceva interamente cristiano. Nata nel medio Evo, la festa si arricchì con la religiosità barocca, sviluppatasi dopo il Concilio di Trento. In una società secolarizzata – con un forte distacco fra Chiesa e società - certe manifestazioni sopravvivono nei piccoli centri (e talvolta nemmeno in essi!). Ciò non toglie che l'Eucaristia sia al centro ed al culmine della Liturgia della Chiesa, ma tale non è percepita da chi continua a dirsi credente, ma non praticante. Eppure certi appuntamenti – vedi Prime Comunioni – mobilitano ancora folle di fedeli. In quelle occasioni. Occorre dunque recuperare il senso autentico della “presenza” di Gesù nell'Eucaristia. Nel passo del vangelo il verbo ricorrente non è adorare, inginocchiarsi, ma mangiare. Poiché di un pane si tratta, che non va solo osservato, adorato, ma mangiato. E l'azione umana del mangiare ci introduce ad un livello più alto: scorgere l'azione di Dio nelle nostre azioni umane. Ad una pagnotta (o a delle fette di pane) sul tavolo si può anche prestare scarsa attenzione. Lo si mangia senza pensarci. Ma a che cosa fa pensare il pane? Seguo i suggerimenti di mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, nel bel libro “Il pane, il vino e la bellezza” Ed. San Paolo, 2023. Il pane è dono della Madre Terra. E' lei che ha prodotto il grano. Ma nel pane vedo anche il lavoro dell'uomo, di tante persone: il contadino, il mugnaio, il panettiere. E le loro fatiche. Come ogni cibo, il pane ci rivela che siamo esseri bisognosi. Non bastiamo a noi stessi! E poi è importante mangiare con altri. A loro dici: “Tu sei più importante del cibo che mangio”. Le relazioni sono più importanti di quanto consideriamo indispensabile per vivere: il cibo. Intorno ad un tavolo comune (e non legati a tavolini) ci si sente uniti. Il pane è spezzato perché sia condiviso, perché tutti ne abbiano parte. Si mangia condividendo. Per imparare che non si vive di solo pane, ma appunto di condivisione, di amore. In questa ‘grammatica' del pane troviamo già i tratti del sacramento dell'Eucaristia. “Gesù ci dice “Prendete e mangiate!”. Ci ricorda che abbiamo bisogno di un Pane che ci nutra e ci salvi. Non bastiamo a noi stessi. Abbiamo bisogno di un Pane che non ci lasci morire … Abbiamo bisogno di sentirci pane in una comunità di fratelli … A Messa troviamo un Padre che ci sostiene e ci dona gli uni agli altri come fratelli e sorelle” (pag. 12). Il passo evangelico scelto per questa festa è la parte conclusiva del discorso “sul pane della vita”, discorso pronunciato da Gesù, secondo il quarto vangelo, nella sinagoga di Cafarnao, in seguito al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Gesù si propone come “il pane vivo disceso dal cielo”. Il “Figlio dell'uomo”, di origine celeste, si offre come “pane” portatore di una vita divina. E' l'intera esistenza del “Verbo di Dio”, l'intera sua missione, ad essere evocata come “pane che dà vita”. Fin dal Prologo, l'evangelista ha annunciato che “il Verbo”, la Parola eterna del Padre, si è fatto “carne”, cioè individuo umano fragile e mortale, come noi siamo. Ora Il Verbo offre questa “carne” fino alla morte in croce.Paradossalmente, è proprio questa immolazione del Verbo a garantire al “pane della vita”, che Lui è, la forza di dispensare vita. E non solo in termini biologici, materiali. C'è dunque una carne immolata, un sangue versato. Carne e sangue offerti e ricevuti nel sacramento dell'Eucaristia. Gesù pone l'enfasi sul “mangiare” e “bere”: “Se non mangiate la carne del Figlio dell'Uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”. L'affermazione di Gesù, nel quarto vangelo, si comprende solo dentro ad una logica simbolico/sacramentale. Non si tratta naturalmente di mangiare carne umana, di antropofagia! I segni conviviali, eucaristici, del pane e del vino, rendono presente la persona fisica del “Figlio dell'Uomo”. La loro distinzione suggerisce il drammatico separarsi di “carne e sangue”, nel sacrificio della Croce. L'assunzione di quel cibo e bevanda, nel contesto della “Cena eucaristica” non è fine a se stesso. E' il mezzo richiesto per raggiungere una comunione duratura con il Cristo, morto e risorto. E' la condizione data per ottenere la vita dispensata dal celeste Figlio dell'Uomo. Il legame “sacramentale” (mangiare “la carne” del Figlio dell'Uomo nel pane consacrato …) diviene legame personale. Questo legame viene reso in modo originale facendo ricorso da un verbo di largo uso nel quarto vangelo: “rimanere”.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. “Rimanere” non evoca una semplice posizione “statica”, il non muoversi. “Rimanere” è il mantenere una forte relazione personale: l'uno nell'altro! Una solida relazione che fa riferimento nientemeno che alla relazione di Gesù con il Padre: “Come io vivo per il Padre, così chi mangia me vivrà per me”. Il legame eucaristico con Cristo attinge forza dal legame del Figlio con il Padre. Per concludere, l'Eucaristia non può essere considerata una “mezzo salvifico” a se stante, ma può essere compresa solo in relazione alla missione di Cristo, di portare, di donare vita. E' Lui il “pane della vita” che il Padre dona al mondo, ben più di quanto ha fatto, con gli Ebrei nell'esodo, facendo scendere su di loro il “pane del cielo” che era la manna. La condizione necessaria per accogliere il dono del “pane della vita”, assicurato mediante l'Eucaristia, è la fede nel Verbo di Dio, rivelatore del Padre, portatore di vita. L'Eucaristia è segno della fede, comporta un atto di fede. Nell'Eucaristia quella fede fa i conti con la logica sacramentale per cui la “carne ed il sangue del Figlio dell'Uomo” ci sono assicurati negli elementi conviviali del pane e del vino. Con tutto ciò che questi significano nell'esperienza umana del pasto consumato insieme.
Don Piero
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