Il Vangelo secondo Don Piero: Storia e responsabilità
10-10-2023 00:56 - IL VANGELO SECONDO DON PIERO
Ivrea (TO), di Don Piero Agrano. Storia e responsabilità.
Come spesso è accaduto nella grande storia, ed anche nelle piccole storie, il rifiuto di assumersi la responsabilità dei “frutti” prodotti, si manifesta in atti di violenza. Ci sono delle violenze, dei morti ammazzati, fra quelli inviati ad esigere i raccolti. In un crescendo, la violenza raggiunge il suo culmine nell'uccisione del figlio erede. La ribellione dei vignaioli giunge alla soppressione dell'erede per impossessarsi della sua proprietà. Il “redde rationem” comporta analoga violenza ed il passaggio della vigna in altri mani.
Commento al vangelo della XXVII domenica del tempo ordinario
(8 ottobre 2023)La grande storia può apparirci come una sequenza di avvenimenti senza una logica, senza un senso.
Ma soprattutto se lo sguardo dalla grande storia si riduce e passa ad esaminare le nostre piccole storie,
i frammenti di storia in cui ci vediamo protagonisti, le vicende che ci hanno segnato e nelle quali pensiamo di aver condizionato la vita di altri, emerge un altro fattore: la responsabilità. Presto o tardi ti viene chiesto conto di come ti sei mosso, a partire dai “frutti”, dalle conseguenze del tuo agire. Decisive, a questo punto, non sono più le intenzioni, ma le azioni concrete e le conseguenze che ne sono derivate. Nella parabola offerta dalla liturgia di questa domenica è ancora in gioco l'ambiente vigna come ‘luogo' del contendere fra Dio e l'uomo. Ma l'originalità della parabola, nota come quella dei vignaioli ribelli ed omicidi, sta nella (legittima) richiesta dei “frutti” della vigna, del raccolto della vendemmia, da parte di un padrone lontano. E nelle “risposte” offerte dagli interlocutori, i vignaioli.Come spesso è accaduto nella grande storia, ed anche nelle piccole storie, il rifiuto di assumersi la responsabilità dei “frutti” prodotti, si manifesta in atti di violenza. Ci sono delle violenze, dei morti ammazzati, fra quelli inviati ad esigere i raccolti. In un crescendo, la violenza raggiunge il suo culmine nell'uccisione del figlio erede. La ribellione dei vignaioli giunge alla soppressione dell'erede per impossessarsi della sua proprietà. Il “redde rationem” comporta analoga violenza ed il passaggio della vigna in altri mani.
Una brutta storia di cronaca nera? No, questa parabola assume la forma di un'allegoria dove si allude a fatti e personaggi concreti, di una storia ‘riletta' a partire dalla sua conclusione. Leggendola nelle vicende di Israele, ciascuno può scovare nomi i cognomi, date ed avvenimenti precisi. Vediamo di rileggerla più in dettaglio, ricavandone la lezione anche per noi.
L'incipit della parabola, indirizzata ai leader religiosi, presenta un particolare insolito. Un proprietario terriero, di vigne, vive all'estero. Prima di partire non trascura di dedicare alla sua vigna tutte le attenzioni possibili. Attenzioni che sono evocate citando alla lettera un passo della profezia di Isaia, dove si afferma, senza mezzi termini, che “la vigna del Signore è la casa di Israele”. Il punto focale del racconto sta in un contrasto drammatico: fra l'attesa di “frutti” da parte del proprietario, le sue richieste, e la reazione violenta dei viticultori a cui quella vigna era stata affidata. Una reazione che sa di ribellione. L'invio reiterato di servi lascia trasparire ciò a cui il racconto allude: i servi sono i profeti, rifiutati, perseguitati, uccisi. L'ultimo inviato è il figlio erede la cui sorte non è diversa: egli è ucciso su di una croce!
Si tratta dunque di un lucido, spietato atto di accusa nei confronti del popolo di Israele, quanto meno dei suoi capi e delle sue guide. Una denuncia della ripetuta infedeltà di quel popolo che Dio aveva salvato e con il quale aveva stabilito un patto di amore. Quella storia ha il suo esito nel giudizio di Dio, che si attua nella condanna dei vignaioli omicidi e nel trasferimento della vigna ad altri vignaioli. Va precisato che nella parabola la condanna non colpisce l'intero popolo ma i suoi capi.
La sentenza finale secondo la quale “a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti” ha sollevato molte questioni. Rispetto ad un'ipotesi “sostituzionista”, secondo la quale la Chiesa, nel disegno di Dio, avrebbe preso il posto di Israele, c'è chi fa rilevare che il termine usato etnos, rispetto al termine usuale laòs, suggerisce una realtà che va oltre il dato puramente storico: si tratta di un popolo obbediente, il popolo messianico che ha Cristo come pietra angolare. Il popolo quale la Chiesa è chiamata a diventare. Determinanti sono i “frutti” da portare, coincidenti con quelli prodotti da un amore attivo, corrispondenti al comandamento del Signore. Rispetto a quel “popolo” ideale, non c'è alcuna istituzione religiosa che possa rivendicare una posizione di rendita. Su tutte incombe il rischio di essere trovate improduttive, nella prospettiva del Regno di Dio.
L'incipit della parabola, indirizzata ai leader religiosi, presenta un particolare insolito. Un proprietario terriero, di vigne, vive all'estero. Prima di partire non trascura di dedicare alla sua vigna tutte le attenzioni possibili. Attenzioni che sono evocate citando alla lettera un passo della profezia di Isaia, dove si afferma, senza mezzi termini, che “la vigna del Signore è la casa di Israele”. Il punto focale del racconto sta in un contrasto drammatico: fra l'attesa di “frutti” da parte del proprietario, le sue richieste, e la reazione violenta dei viticultori a cui quella vigna era stata affidata. Una reazione che sa di ribellione. L'invio reiterato di servi lascia trasparire ciò a cui il racconto allude: i servi sono i profeti, rifiutati, perseguitati, uccisi. L'ultimo inviato è il figlio erede la cui sorte non è diversa: egli è ucciso su di una croce!
Si tratta dunque di un lucido, spietato atto di accusa nei confronti del popolo di Israele, quanto meno dei suoi capi e delle sue guide. Una denuncia della ripetuta infedeltà di quel popolo che Dio aveva salvato e con il quale aveva stabilito un patto di amore. Quella storia ha il suo esito nel giudizio di Dio, che si attua nella condanna dei vignaioli omicidi e nel trasferimento della vigna ad altri vignaioli. Va precisato che nella parabola la condanna non colpisce l'intero popolo ma i suoi capi.
La sentenza finale secondo la quale “a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti” ha sollevato molte questioni. Rispetto ad un'ipotesi “sostituzionista”, secondo la quale la Chiesa, nel disegno di Dio, avrebbe preso il posto di Israele, c'è chi fa rilevare che il termine usato etnos, rispetto al termine usuale laòs, suggerisce una realtà che va oltre il dato puramente storico: si tratta di un popolo obbediente, il popolo messianico che ha Cristo come pietra angolare. Il popolo quale la Chiesa è chiamata a diventare. Determinanti sono i “frutti” da portare, coincidenti con quelli prodotti da un amore attivo, corrispondenti al comandamento del Signore. Rispetto a quel “popolo” ideale, non c'è alcuna istituzione religiosa che possa rivendicare una posizione di rendita. Su tutte incombe il rischio di essere trovate improduttive, nella prospettiva del Regno di Dio.
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