Il Vangelo secondo Don Piero: Il dire e il fare
05-10-2023 02:14 - IL VANGELO SECONDO DON PIERO
Ivrea (TO), di Don Piero Agrano. Il dire ed il fare. Commento al vangelo della XXVI domenica del tempo ordinario (1° ottobre 2023).
chi si è perduto. E' un messaggio anche per le Chiese di oggi. Durante l'ultima udienza in San Pietro, ho sentito il Papa che si intratteneva con un religioso, esperto di “confessioni” sacramentali, raccomandare ad alta voce: “usi misericordia”! Misericordia non è approvazione di tutto quello che succede, non è ridurre al ribasso le istanze etiche. E' trarre dalle esperienze quotidiane di contraddizioni fra il dire ed il fare – e chi non le fa? – la possibilità di rialzarsi, di tentare vie nuove, di conversione …
Ogni percorso è, a questo punto, possibile. Tutti possono diventare figli ribelli, pur partendo da un'obbedienza solo di facciata. E tutti i ribelli possono tornare ad essere docili; possono ravvedersi, in vista di un'obbedienza concreta ed operativa. Non ci sono posizioni di rendita, o di privilegio, nel raggiungere la salvezza. Anzi, ad essere onesti, nel nostro cuore abitano entrambi i tipi di fratelli. Il cammino della vita cristiana non è un cammino di soggetti impeccabili, ma di uomini e donne che sbagliano, ma che sanno ripensarci e riconoscere i loro errori. Anche a noi, a distanza di secoli, può capitare di ritrovarci nei panni di “credenti increduli”, che ad una fede superficiale ed esteriore non sanno preferire una fede che dà ascolto concreto.
“Tra il dire ed il fare …”.
Conosciamo bene l'esito di questo detto proverbiale.Che punta il dito sulle incongruenze e le contraddizioni quotidiane fra il “dire” e il “fare”.
Veramente c'è di mezzo il “mare”! Al proverbio allude anche la parabola del vangelo di questa domenica. Un padre è alle prese con due figli: al suo ordine uno dice di no, ma poi fa la volontà del padre.Il secondo, dopo un “signorsì” formale, disattende quanto gli è stato richiesto.
Alla fine, il “compimento della volontà del Padre” si decide su ciò che si fa, e non su ciò che si dice. E' l'azione a dare verità concreta alle parole. Rispetto al proverbio, la parabola evangelica presenta una novità da rilevare: rispecchia una situazione in cambiamento, in evoluzione: un no diventa un sì di fatto, un sì solo formale dà luogo ad un no di fatto. Di mezzo fra il no e il sì, infatti, secondo il vangelo, vi è un atto di pentimento, una conversione, un ripensamento magari tardivo ma non inutile. Dopo tutto, nessuna obbedienza a Dio è perfetta, esprime una completa adesione che passa dal dire al fare. In fondo l'unica possibilità di salvezza che abbiamo sta nella capacità di ricredersi, nel coraggio di rimettersi in discussione, all'occorrenza, di contraddirsi e di pentirsi. Cosa può mettere in movimento un processo del genere? Il commento di Gesù alla parabola mette in evidenza un altro fattore importante. L'elemento decisivo a far sparigliare la situazione è il “credere”. Non si intraprende da soli un cammino di cambiamento senza avere ascoltato qualcun altro ed avergli dato retta. Nella fattispecie, si era trattato prima di Giovanni Battista e poi di Gesù. Credere a loro voleva dire disporsi a convertirsi. Un atto di fede dispone ad una forma di obbedienza operativa, sul piano etico. Dietro ai personaggi sulla scena della parabola vi sono due gruppi. Quelli che sembrano dire di sì ma poi non ci stanno. E quelli che sembrano disobbedire ma poi mettono in pratica quanto udito. Gli osservanti, a livello solo formale, i leader religiosi. E quelli che non ti saresti aspettato, esemplificati nei pubblicani – esattori delle tasse, in combutta con gli odiati occupanti romani, pubblici peccatori - e le prostitute. Insomma la feccia della società del tempo, paradossalmente disponibile ad accogliere la predicazione di Giovanni e di Gesù. Alla fine, gli esclusi prendono il posto di quelli che pensavano di avere un posto garantito in paradiso. “Passare avanti” nel Regno di Dio vuol dire, in concreto, prendere il posto di un altro: “pubblicani e prostitute vi passano avanti!”. Dunque, dietro alla applicazione della parabola fatta da Gesù, c'è anche – nella stesura finale del vangelo fatta da Matteo – la situazione di quella comunità, che rilegge le parole del Signore consegnatele dalla tradizione, in relazione ai nuovi problemi. In essa affiora il rischio di una religiosità solo formale, sterile e frustrante. Essa deve lasciare il posto ad una esperienza profonda di Dio, un'esperienza che accetta le sue “scelte paradossali”: il perdono ai peccatori, il recupero dichi si è perduto. E' un messaggio anche per le Chiese di oggi. Durante l'ultima udienza in San Pietro, ho sentito il Papa che si intratteneva con un religioso, esperto di “confessioni” sacramentali, raccomandare ad alta voce: “usi misericordia”! Misericordia non è approvazione di tutto quello che succede, non è ridurre al ribasso le istanze etiche. E' trarre dalle esperienze quotidiane di contraddizioni fra il dire ed il fare – e chi non le fa? – la possibilità di rialzarsi, di tentare vie nuove, di conversione …
Ogni percorso è, a questo punto, possibile. Tutti possono diventare figli ribelli, pur partendo da un'obbedienza solo di facciata. E tutti i ribelli possono tornare ad essere docili; possono ravvedersi, in vista di un'obbedienza concreta ed operativa. Non ci sono posizioni di rendita, o di privilegio, nel raggiungere la salvezza. Anzi, ad essere onesti, nel nostro cuore abitano entrambi i tipi di fratelli. Il cammino della vita cristiana non è un cammino di soggetti impeccabili, ma di uomini e donne che sbagliano, ma che sanno ripensarci e riconoscere i loro errori. Anche a noi, a distanza di secoli, può capitare di ritrovarci nei panni di “credenti increduli”, che ad una fede superficiale ed esteriore non sanno preferire una fede che dà ascolto concreto.
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