Commento al vangelo della Festa dell'Ascensione del Signore
22-05-2023 00:33 - CULTURA
Ivrea (TO),
Riceviamo e pubblichiamo, da Don Piero Agrano.
Da questa settimana, con molto piacere, Tic Web Tv pubblicherà i commenti al Vangelo di Don Piero Agrano, parroco presso la Parrocchia di San Lorenzo ad Ivrea. L'intento è ampliare gli orizzonti e arrivare direttamente tra i fedeli, con una chiave di lettura che viene attualizzata nel presente.
“In alto”,
Fra le categorie più semplici con cui disegniamo lo spazio intorno a noi vi è quella dell'”alto e del basso”. Istintivamente mettiamo in alto, nelle posizioni più elevate, quello che vale di più, quello che è più importante. Non per nulla il cielo, la posizione più in alto, è indicato come la “dimora” dell'Essere perfettissimo. Lui “in su, e noi in giù!”.
Allora “salire su”, quando è possibile, è acquistare maggiore potere, è vedersi riconosciuto in modo più evidente il proprio valore. Così, nella stessa Bibbia, ci sono i salmi di “ascensione”. Un esempio è quello offerto dal salmo responsoriale di questa festa: si immagina una processione che il popolo compie dal “basso”, dal fondo valle, per raggiungere il colle dell'Ofel, dove c'è il palazzo del re, e, di lì, salire ancora più in su, al colle di Sion, sulla cui cima è situato il tempio di Dio, la sua “casa”. Da lì Dio può volgere lo sguardo sul mondo, è “re di tutta la terra”.
In realtà, ad essere più precisi, è Dio stesso che viene raffigurato come Colui che sale, gradino dopo gradino, in cima alla piramide del cosmo. E Lì viene intronizzato come “re universale”, secondo i modelli correnti delle intronizzazioni monarchiche (tutti ricordiamo quella recente di Carlo III, in Gran Bretagna).
Su quello sfondo di immagini antiche, rileggiamo l'immagine di Gesù che sale al cielo. Là in cielo, “alla destra del Padre” Gesù è re e signore dell'universo. L'ascensione di Gesù è ricalcata sulle immagini delle ascensioni di “Dio Re”. Ma naturalmente c'è del nuovo.
La scena, più volte rappresentata dalla iconografia sacra, dell'”Ascensione” è ispirata al testo degli Atti degli Apostoli. Essa rappresenta l'ultima delle “manifestazioni” del Risorto, che Luca colloca nell'arco di quaranta giorni. “Quaranta” è un dato evidentemente simbolico: lo si evince dai numerosi riferimenti biblici. Si tratta di un tempo di particolari manifestazioni divine, ma soprattutto di transizione, di passaggio, verso una meta che dà senso al tutto. E' un tempo di attesa. L'ascensione si rivela così il coronamento, il sigillo della Pasqua: Gesù risorto da morte è “intronizzato alla destra del Padre”, ne condivide il potere universale.
Così il tempo pasquale è la conclusione vittoriosa della vita terrena di Gesù, incluse le sofferenze sulla croce. Il “cammino” di Gesù da questo mondo al Padre – così come lo descrive san Giovanni nel suo vangelo, come “esaltazione”, “innalzamento” – ha raggiunto la sua meta. Gesù risorto “siede alla destra del Padre”, come diciamo nel Credo. E questo è manifestato agli occhi dei discepoli. Ma, nello stesso tempo, l'ascensione segna l'inizio, la fondazione di una nuova “opera” di Gesù, che egli realizza mediante i suoi apostoli. E' l'inaugurazione del tempo della Chiesa, e della sua missione. Ben oltre i confini nazionali di Israele, entro i quali sostanzialmente si era svolta la missione di Gesù.
Si comprendono così le due note che contrassegnano la scena dell'ascensione: la salita al cielo è anche uno “sradicarsi” dalla terra, da parte di Gesù, un allontanarsi, almeno sul piano dei contatti umani. In realtà si tratta di un nuovo modo di presenza, assicurato dallo Spirito. Per Luca l'attesa del realizzarsi di quella “promessa del Padre, udita da me” (Gesù), comporta il fermarsi a Gerusalemme: la città santa dove si era compiuta la Pasqua di Gesù, diventa il luogo dell'accoglienza dello Spirito santo e della partenza per la missione. Negli Atti degli Apostoli l'itinerario è chiaro: da Gerusalemme a Roma, la capitale dell'impero.
L'ascensione è, dunque, un'opera del Padre, evocata attraverso simboli biblici ( si vedano i racconti biblici di varie ‘ascensioni', come quella del profeta Elia). Alla lettera, Gesù non “sale” per virtù propria, ma viene “assunto”, “elevato”. Al passivo, espediente letterario per suggerire l'azione misteriosa di Dio, senza nominarlo. E la nube - che ricompare dopo l'esperienza della trasfigurazione sul monte – sottrae a sguardi umani colui che ormai appartiene ad un altro mondo. Ed il messaggio degli angeli corregge l'idea di un addio definitivo. Colui che è salito a cielo ritornerà, in un'altra manifestazione gloriosa. Ed, intanto, è ancora presente in un'altra modalità.
Un'ultima annotazione va fatta sul mistero dell'Ascensione, che è poi la conferma della risurrezione. Dopo la vicenda terrena Gesù ha fatto ritorno al Padre. Ma non esattamente come era prima. E' tornato portandosi un bagaglio prezioso, quello del suo essere uomo. Gesù, Dio fatto uomo, si presenta al Padre con il suo corredo di umanità. Un frammento di umanità è già dentro al mistero di Dio.
Il passo del vangelo che ci vene proposto nella festa dell'Ascensione del Signore ci richiama un aspetto importante: Gesù che sale al cielo è lo stesso che invia in missione. Gli “Undici” hanno risposto alla convocazione di Gesù. Sono tornati sul monte della Galilea. La “Galilea delle Genti” era per loro la località dei “primi amori”: là il Signore Gesù aveva iniziato la sua missione. Sulle rive del lago di Tiberiade li aveva chiamati a seguirlo. Sul colle sovrastante aveva proclamato il messaggio delle “beatitudini”. Là si erano accesi il primo entusiasmo e la prima voglia di seguirlo. Là il Risorto fissa loro l'appuntamento.
L'attenzione cade sul ‘comando' di Gesù. “Andate, fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Una missione mondiale, incentrata sul “fare discepoli”. Discepoli che fanno altri discepoli. Non di loro ma del Signore Gesù. Non si tratta di formare un apparato organizzativo della Chiesa futura, ma di partecipare ad altri un'esperienza che permetta di vivere la propria fede in Dio, attraverso il rapporto di “discepoli”, verso Gesù riconosciuto come maestro e Signore. Ed il battesimo marca un'appartenenza dei nuovi discepoli a Gesù, ed alla comunità dei battezzati.
Don Piero.
commento al vangelo della Festa dell'Ascensione del Signore
(21 maggio 2023): Matteo 28, 16-20Fra le categorie più semplici con cui disegniamo lo spazio intorno a noi vi è quella dell'”alto e del basso”. Istintivamente mettiamo in alto, nelle posizioni più elevate, quello che vale di più, quello che è più importante. Non per nulla il cielo, la posizione più in alto, è indicato come la “dimora” dell'Essere perfettissimo. Lui “in su, e noi in giù!”.
Allora “salire su”, quando è possibile, è acquistare maggiore potere, è vedersi riconosciuto in modo più evidente il proprio valore. Così, nella stessa Bibbia, ci sono i salmi di “ascensione”. Un esempio è quello offerto dal salmo responsoriale di questa festa: si immagina una processione che il popolo compie dal “basso”, dal fondo valle, per raggiungere il colle dell'Ofel, dove c'è il palazzo del re, e, di lì, salire ancora più in su, al colle di Sion, sulla cui cima è situato il tempio di Dio, la sua “casa”. Da lì Dio può volgere lo sguardo sul mondo, è “re di tutta la terra”.
In realtà, ad essere più precisi, è Dio stesso che viene raffigurato come Colui che sale, gradino dopo gradino, in cima alla piramide del cosmo. E Lì viene intronizzato come “re universale”, secondo i modelli correnti delle intronizzazioni monarchiche (tutti ricordiamo quella recente di Carlo III, in Gran Bretagna).
Su quello sfondo di immagini antiche, rileggiamo l'immagine di Gesù che sale al cielo. Là in cielo, “alla destra del Padre” Gesù è re e signore dell'universo. L'ascensione di Gesù è ricalcata sulle immagini delle ascensioni di “Dio Re”. Ma naturalmente c'è del nuovo.
La scena, più volte rappresentata dalla iconografia sacra, dell'”Ascensione” è ispirata al testo degli Atti degli Apostoli. Essa rappresenta l'ultima delle “manifestazioni” del Risorto, che Luca colloca nell'arco di quaranta giorni. “Quaranta” è un dato evidentemente simbolico: lo si evince dai numerosi riferimenti biblici. Si tratta di un tempo di particolari manifestazioni divine, ma soprattutto di transizione, di passaggio, verso una meta che dà senso al tutto. E' un tempo di attesa. L'ascensione si rivela così il coronamento, il sigillo della Pasqua: Gesù risorto da morte è “intronizzato alla destra del Padre”, ne condivide il potere universale.
Così il tempo pasquale è la conclusione vittoriosa della vita terrena di Gesù, incluse le sofferenze sulla croce. Il “cammino” di Gesù da questo mondo al Padre – così come lo descrive san Giovanni nel suo vangelo, come “esaltazione”, “innalzamento” – ha raggiunto la sua meta. Gesù risorto “siede alla destra del Padre”, come diciamo nel Credo. E questo è manifestato agli occhi dei discepoli. Ma, nello stesso tempo, l'ascensione segna l'inizio, la fondazione di una nuova “opera” di Gesù, che egli realizza mediante i suoi apostoli. E' l'inaugurazione del tempo della Chiesa, e della sua missione. Ben oltre i confini nazionali di Israele, entro i quali sostanzialmente si era svolta la missione di Gesù.
Si comprendono così le due note che contrassegnano la scena dell'ascensione: la salita al cielo è anche uno “sradicarsi” dalla terra, da parte di Gesù, un allontanarsi, almeno sul piano dei contatti umani. In realtà si tratta di un nuovo modo di presenza, assicurato dallo Spirito. Per Luca l'attesa del realizzarsi di quella “promessa del Padre, udita da me” (Gesù), comporta il fermarsi a Gerusalemme: la città santa dove si era compiuta la Pasqua di Gesù, diventa il luogo dell'accoglienza dello Spirito santo e della partenza per la missione. Negli Atti degli Apostoli l'itinerario è chiaro: da Gerusalemme a Roma, la capitale dell'impero.
L'ascensione è, dunque, un'opera del Padre, evocata attraverso simboli biblici ( si vedano i racconti biblici di varie ‘ascensioni', come quella del profeta Elia). Alla lettera, Gesù non “sale” per virtù propria, ma viene “assunto”, “elevato”. Al passivo, espediente letterario per suggerire l'azione misteriosa di Dio, senza nominarlo. E la nube - che ricompare dopo l'esperienza della trasfigurazione sul monte – sottrae a sguardi umani colui che ormai appartiene ad un altro mondo. Ed il messaggio degli angeli corregge l'idea di un addio definitivo. Colui che è salito a cielo ritornerà, in un'altra manifestazione gloriosa. Ed, intanto, è ancora presente in un'altra modalità.
Un'ultima annotazione va fatta sul mistero dell'Ascensione, che è poi la conferma della risurrezione. Dopo la vicenda terrena Gesù ha fatto ritorno al Padre. Ma non esattamente come era prima. E' tornato portandosi un bagaglio prezioso, quello del suo essere uomo. Gesù, Dio fatto uomo, si presenta al Padre con il suo corredo di umanità. Un frammento di umanità è già dentro al mistero di Dio.
Il passo del vangelo che ci vene proposto nella festa dell'Ascensione del Signore ci richiama un aspetto importante: Gesù che sale al cielo è lo stesso che invia in missione. Gli “Undici” hanno risposto alla convocazione di Gesù. Sono tornati sul monte della Galilea. La “Galilea delle Genti” era per loro la località dei “primi amori”: là il Signore Gesù aveva iniziato la sua missione. Sulle rive del lago di Tiberiade li aveva chiamati a seguirlo. Sul colle sovrastante aveva proclamato il messaggio delle “beatitudini”. Là si erano accesi il primo entusiasmo e la prima voglia di seguirlo. Là il Risorto fissa loro l'appuntamento.
L'attenzione cade sul ‘comando' di Gesù. “Andate, fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Una missione mondiale, incentrata sul “fare discepoli”. Discepoli che fanno altri discepoli. Non di loro ma del Signore Gesù. Non si tratta di formare un apparato organizzativo della Chiesa futura, ma di partecipare ad altri un'esperienza che permetta di vivere la propria fede in Dio, attraverso il rapporto di “discepoli”, verso Gesù riconosciuto come maestro e Signore. Ed il battesimo marca un'appartenenza dei nuovi discepoli a Gesù, ed alla comunità dei battezzati.
Al commiato di Gesù dai suoi, c'è una promessa, che vale come garanzia di incoraggiamento e di fiducia: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
“Io sono con voi” riproduce l'espressione “Emmanuele” (= “Dio è con noi”) con cui il Messia veniente era stato designato fin dal momento dell'annuncio a Maria. Il Signore glorificato porta a compimento la promessa di salvezza fatta da Dio a sua madre.Don Piero.
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