Amare di più, amare di meno?
29-06-2023 02:09 - IL VANGELO SECONDO DON PIERO
Ivrea (TO). Di Don Piero Agrano.
C'è una graduatoria negli amori? Una gerarchia fra chi amare di più, e chi amare di meno? Per fare un esempio, si ama di più il coniuge, il partner, o il figlio? Certo c'è amore ed amore. La stessa affettività è plasmata dalle relazioni che si stanno costruendo, e dalla scelte che stanno alla base. Sono amori diversi. Ma qual è il più grande?
Anche Gesù, nel passo del vangelo di questa domenica, si lascia tirare dentro alla questione sopra sollevata. Anzi prende lui stesso l'iniziativa, nel delineare il discepolo “degno”, all'altezza della situazione. “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me”, afferma Gesù senza mezzi termini.
Il passo proposto in questa domenica è ancora tratto dal discorso sulla missione: l'insieme di istruzioni di Gesù, per chi è stato inviato a predicare il vangelo. Va subito rilevato che il missionario è, innanzi tutto, un discepolo. Un discepolo che Gesù vuole di alto profilo. Capace di nutrire verso il Maestro un amore più grande, rispetto agli affetti familiari.
L'appartenenza generata da quell'amore non passa attraverso il clan familiare, né si trasmette con l'eredità del sangue. Eppure quel tipo di amore svela una componente di ogni amore, quella fatta di dedizione, di dono di sé, di compromettersi fino in fondo. Quando si parla di amore come complicità …
Può accadere, allora, che assecondare quell'amore verso Gesù comporti tensioni e conflitti anche in ambito familiare, quando le priorità non sono condivise o accettate da tutti. A meno di restare “mammoni” ben oltre i trent'anni, viene il momento di lasciarsi dietro alle spalle la porta di casa, di intraprendere nuove avventure, di incontrare nuovi amori.
Ma qui scegliere chi amare di più è mettere in conto che cosa significa quella persona, quali messaggi porta con sé, cosa significa diventarne complice … Significa rispondere alla domanda che inevitabilmente si pone: tu quanto vali per me?
Ed allora fra gli “oggetti” da amare entra in gioco la nostra stessa vita. Con quella sete di felicità che essa porta con sé: chi mi renderà felice?
Gesù ricorda, a dispetto di una visione un po' buontempona, che la vita comporta anche il prendere la croce, ciò che, a tutta prima, è sgradito o urtante, per seguire Lui, e per raggiungere obiettivi importanti. E rispunta la parola spesso rifiutata o sequestrata: sacrificio.
Perché non si può evitare ciò che è il vero paradosso della vita: se la si vuole tenere tutta per sé, la si perde, la si rovina. L'atteggiamento autoreferenziale non è via di salvezza. E c'è, invece, un “perdersi” che significa “ritrovarsi”.
Nell'ultima parte del discorso l'attenzione si appunta sull'accoglienza. Il verbo ricorrente è accogliere. E' come se Gesù avesse voluto, a questo punto, ricomporre quei legami di solidarietà che le persecuzioni, ma anche certe scelte sconvolgenti, avevano messo in crisi. Dietro a certe dichiarazioni sembra affiorare il principio della legislazione giudaica, dello shaliah (= inviato). L'inviato godeva appunto dell'autorità dell'inviante. Ma lo schema giuridico si riempie della novità del vangelo. Dove si costruisce una catena che va dall'anello più piccolo, cui è dato un bicchiere di acqua fresca, fino, attraverso i vari ruoli nella comunità, a Colui che ha inviato Gesù ed attende di essere a sua volta accolto: Dio. “Chi accoglie voi, accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”.
Ecco, l'accoglienza è un'altra dimensione dell'amore. Chi ama accoglie, fa spazio all'altro nella propria vita.
Amare di più, amare di meno?
Commento al vangelo della XIII domenica del tempo ordinario: Matteo 10, 37-42C'è una graduatoria negli amori? Una gerarchia fra chi amare di più, e chi amare di meno? Per fare un esempio, si ama di più il coniuge, il partner, o il figlio? Certo c'è amore ed amore. La stessa affettività è plasmata dalle relazioni che si stanno costruendo, e dalla scelte che stanno alla base. Sono amori diversi. Ma qual è il più grande?
Anche Gesù, nel passo del vangelo di questa domenica, si lascia tirare dentro alla questione sopra sollevata. Anzi prende lui stesso l'iniziativa, nel delineare il discepolo “degno”, all'altezza della situazione. “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me”, afferma Gesù senza mezzi termini.
Il passo proposto in questa domenica è ancora tratto dal discorso sulla missione: l'insieme di istruzioni di Gesù, per chi è stato inviato a predicare il vangelo. Va subito rilevato che il missionario è, innanzi tutto, un discepolo. Un discepolo che Gesù vuole di alto profilo. Capace di nutrire verso il
Maestro un amore più grande, rispetto agli affetti familiari.
Gesù conosce bene il peso degli affetti familiari, e non abolisce il quarto comandamento: “Onora il padre e la madre”. Ma immagina (e richiede per sé) un amore che non è passione istintiva, ma dedizione costante, impegno incondizionato.
L'appartenenza generata da quell'amore non passa attraverso il clan familiare, né si trasmette con l'eredità del sangue. Eppure quel tipo di amore svela una componente di ogni amore, quella fatta di dedizione, di dono di sé, di compromettersi fino in fondo. Quando si parla di amore come complicità …Può accadere, allora, che assecondare quell'amore verso Gesù comporti tensioni e conflitti anche in ambito familiare, quando le priorità non sono condivise o accettate da tutti. A meno di restare “mammoni” ben oltre i trent'anni, viene il momento di lasciarsi dietro alle spalle la porta di casa, di intraprendere nuove avventure, di incontrare nuovi amori.
Ma qui scegliere chi amare di più è mettere in conto che cosa significa quella persona, quali messaggi porta con sé, cosa significa diventarne complice … Significa rispondere alla domanda che inevitabilmente si pone: tu quanto vali per me?
Ed allora fra gli “oggetti” da amare entra in gioco la nostra stessa vita. Con quella sete di felicità che essa porta con sé: chi mi renderà felice?
Gesù ricorda, a dispetto di una visione un po' buontempona, che la vita comporta anche il prendere la croce, ciò che, a tutta prima, è sgradito o urtante, per seguire Lui, e per raggiungere obiettivi importanti. E rispunta la parola spesso rifiutata o sequestrata: sacrificio.
Perché non si può evitare ciò che è il vero paradosso della vita: se la si vuole tenere tutta per sé, la si perde, la si rovina. L'atteggiamento autoreferenziale non è via di salvezza. E c'è, invece, un “perdersi” che significa “ritrovarsi”.
Nell'ultima parte del discorso l'attenzione si appunta sull'accoglienza. Il verbo ricorrente è accogliere. E' come se Gesù avesse voluto, a questo punto, ricomporre quei legami di solidarietà che le persecuzioni, ma anche certe scelte sconvolgenti, avevano messo in crisi. Dietro a certe dichiarazioni sembra affiorare il principio della legislazione giudaica, dello shaliah (= inviato). L'inviato godeva appunto dell'autorità dell'inviante. Ma lo schema giuridico si riempie della novità del vangelo. Dove si costruisce una catena che va dall'anello più piccolo, cui è dato un bicchiere di acqua fresca, fino, attraverso i vari ruoli nella comunità, a Colui che ha inviato Gesù ed attende di essere a sua volta accolto: Dio. “Chi accoglie voi, accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”.
Ecco, l'accoglienza è un'altra dimensione dell'amore. Chi ama accoglie, fa spazio all'altro nella propria vita.
Cosa significa allora una prassi di accoglienza nelle nostre comunità? Ciò di cui mi convinco sempre di più è che le nostre comunità debbono vivere il loro carattere inclusivo ed accogliente, facendo coesistere sensibilità e spiritualità differenti. Una ricerca della verità a più voci, ma con un obiettivo comune: quella Verità che è la meta, ma sta sempre oltre le nostre ricerche.
Don Piero.
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