A 23 anni dalla morte del giudice Falcone, le sue idee continuano a camminare sulle nostre gambe
23-05-2015 12:06 - ATTUALITA´













Ivrea (TO), di Giada Verre. "Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola" (Cit. Giovanni Falcone - 18 maggio 1939 - 23 maggio 1992).
Il 23 Maggio 1992 perdeva la vita nella strage di Capaci il magistrato Giovanni Salvatore Augusto Falcone, considerato, assieme al collega e amico Paolo Borsellino, una delle personalità più importanti nella lotta contro la mafia. Esattamente 23 anni fa mentre l´auto del magistrato percorreva l´autostrada A29 in direzione Palermo, 500 kg di tritolo vennero esplosi da un gruppo composto da diversi mafiosi nei pressi dello svincolo di Capaci. Nell´attentato persero la vita anche la moglie di Falcone, Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, gli unici sopravvissuti furono Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Giuseppe Costanza. La decisione dell´uccisione del magistrato venne presa dal boss di Cosa Nostra Salvatore Riina, in seguito alla sentenza della Cessazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso avvenuto il 30 Gennaio 1992, processo penale celebrato a Palermo per crimini a carico di vari appartenenti a Cosa Nostra. Nati in una città dove il crimine organizzato operava senza essere disturbato, i due magistrati dedicarono la vita alla lotta contro la mafia, divenendo simbolo di coraggio e giustizia. Il clima dove essi operarono può essere definito quasi di terrore; Palermo infatti, tra la fine degli anni settanta e l´inizio degli anni ottanta divenne lo scenario della seconda guerra di mafia: fazioni diverse di Cosa Nostra si contendevano il dominio sul territorio, e tra il 1981 e il 1983 vennero commessi circa 600 omicidi. Tra le vittime furono numerosi gli uomini delle istituzioni italiane che tentarono di combattere la mafia, tra cui il generale Caro Alberto Della Chiesa, il segretario provinciale Michele Reina, il commissario Boris Giuliano, il giornalista Mario Francese, il procuratore Gaetano Costa, e molti altri ancora. Per fronteggiare la situazione, venne istituito un "pool antimafia": una squadra di giudici istruttori che avrebbero lavorato in gruppo, occupandosi esclusivamente dei reati di stampo mafioso. Vennero scelti i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Nell´ottobre del 1983 in Brasile venne arrestato il mafioso Tommaso Buscetta, che dopo essersi pentito collaborò con i magistrati raccontando le sue conoscenze sulla mafia, confidandosi in particolar modo con il giudice Falcone. Buscetta rivelò l´organizzazione interna ed il funzionamento di Cosa Nostra e i nomi dei mandanti e degli esecutori materiali di numerosi delitti di mafia. Tali rivelazioni avevano un enorme valore dal momento che a quei tempi le regole di Cosa Nostra erano ignote, poiché prima di Buscetta quasi nessuno ne aveva mai svelato i segreti, e consentivano per la prima volta agli inquirenti di penetrare in quel mondo. Nella notte tra il 28 ed il 29 settembre 1984, nel giorno di San Michele, venne messa in atto l´operazione di polizia che portò alla cattura di oltre i due terzi dei ricercati. Il 10 febbraio 1986 in un´aula bunker gremita di circa 300 imputati, 200 avvocati difensori e 600 giornalisti da tutto il mondo, si aprì il Maxiprocesso di Palermo. Le accuse includevano omicidi, traffico di droga, rapine, estorsioni, e, ovviamente, il delitto di "associazione mafiosa" in vigore da pochi anni. La sentenza venne emessa il 30 gennaio 1992, le condanne furono tutte confermate, mentre la gran parte delle assoluzioni pronunciate nel giudizio d´appello venne annullata. Durante gli anni del Maxiprocesso ci furono diversi attentati verso i magistrati italiani: nell´estate del 1985 vennero uccisi Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, e lo stesso Falcone divenne obbiettivo di un attentato il 21 giugno 1989. Nonostante l´episodio, Giovanni Falcone proseguì con le sue inchieste, con la sua determinazione, lottando per liberare la Sicilia dal morbo della mafia. Iniziarono a sorgere polemiche intorno alla figura del magistrato, alimentate da invidie, concorrenze e gelosie professionali. Le polemiche sancirono la rottura del fronte antimafia, Cosa Nostra sembrò trarre vantaggio dalla tensione nelle istituzioni, cosa che isolò ancora di più la figura di Falcone. Durante i funerali del magistrato Antonino Scopelliti, ucciso in Calabria il 9 agosto 1991, Falcone sentì l´incombere del pericolo, e confidò al fratello de collega di sapere che sarebbe stato il prossimo. Il magistrato trascorse l´ultimo periodo della sua vita isolato all´interno delle istituzioni, e in un´intervista rilasciata per "Cose di Cosa" dichiarò: "Mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano". La macabra profezia si avverò poco tempo dopo, quando, tornando da Roma il 23 maggio 1992, Giovanni Busca (mafioso della famiglia Altofonte) azionò il telecomando che provocò l´esplosione del tritolo sistemato all´interno dei fustini in un cunicolo di drenaggio sotto l´autostrada che portava a Palermo. La prima auto, quella della scorta, venne investita in pieno dall´esplosione e sbalzata a più di dieci metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Schifani, Dicillo e Montinaro. La seconda auto, guidata dal magistrato si schianta contro il muro di cemento e detriti, proiettando violentemente Falcone e la moglie contro il parabrezza. A un´ora e sette minuti dall´attentato Giovanni Falcone muore dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione e alle 22 muore anche la moglie Francesca; la sera stessa una telefonata anonima rivendicò la strage di Capaci a nome della sigla "Falange Armata". Il 25 maggio si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l´intera città, commossa, sconvolta, arrabbiata. Il 27 giugno in Sicilia arrivarono centomila persone da tutto il paese, riempiendo Palermo di taccuini, telecamere, striscioni e bandiere, e la città fu palcoscenico di una grande manifestazione nazionale, durante la quale la gente scese in piazza chiedendo allo Stato un´azione contro il crimine organizzato. La morte di Giovanni Falcone e quella del collega e amico, Paolo Borsellino, avvenuta il 19 luglio 1992 nella strage di via d´Amelio, non furono un fallimento, una sconfitta dei giusti; il loro esempio rappresentò l´inizio di una vera rinascita, che ha spinto le istituzioni a sferrare attacchi sempre più duri nei confronti della mafia. A 23 anni dalla morte di Falcone e Borsellino, la gente non dimentica, i ragazzi continuano a scendere in piazza manifestando a gran voce, sventolando striscioni con i volti dei due magistrati che rappresentano l´esempio del coraggio, della lotta contro la mafia, le ingiustizie, la corruzione. E dopo 23 anni c´è chi ancora non abbassa la testa, c´è chi continua a lottare, a credere in un´Italia senza mafia, perché come disse lo stesso Falcone "Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini".
Il 23 Maggio 1992 perdeva la vita nella strage di Capaci il magistrato Giovanni Salvatore Augusto Falcone, considerato, assieme al collega e amico Paolo Borsellino, una delle personalità più importanti nella lotta contro la mafia. Esattamente 23 anni fa mentre l´auto del magistrato percorreva l´autostrada A29 in direzione Palermo, 500 kg di tritolo vennero esplosi da un gruppo composto da diversi mafiosi nei pressi dello svincolo di Capaci. Nell´attentato persero la vita anche la moglie di Falcone, Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, gli unici sopravvissuti furono Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e Giuseppe Costanza. La decisione dell´uccisione del magistrato venne presa dal boss di Cosa Nostra Salvatore Riina, in seguito alla sentenza della Cessazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso avvenuto il 30 Gennaio 1992, processo penale celebrato a Palermo per crimini a carico di vari appartenenti a Cosa Nostra. Nati in una città dove il crimine organizzato operava senza essere disturbato, i due magistrati dedicarono la vita alla lotta contro la mafia, divenendo simbolo di coraggio e giustizia. Il clima dove essi operarono può essere definito quasi di terrore; Palermo infatti, tra la fine degli anni settanta e l´inizio degli anni ottanta divenne lo scenario della seconda guerra di mafia: fazioni diverse di Cosa Nostra si contendevano il dominio sul territorio, e tra il 1981 e il 1983 vennero commessi circa 600 omicidi. Tra le vittime furono numerosi gli uomini delle istituzioni italiane che tentarono di combattere la mafia, tra cui il generale Caro Alberto Della Chiesa, il segretario provinciale Michele Reina, il commissario Boris Giuliano, il giornalista Mario Francese, il procuratore Gaetano Costa, e molti altri ancora. Per fronteggiare la situazione, venne istituito un "pool antimafia": una squadra di giudici istruttori che avrebbero lavorato in gruppo, occupandosi esclusivamente dei reati di stampo mafioso. Vennero scelti i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Nell´ottobre del 1983 in Brasile venne arrestato il mafioso Tommaso Buscetta, che dopo essersi pentito collaborò con i magistrati raccontando le sue conoscenze sulla mafia, confidandosi in particolar modo con il giudice Falcone. Buscetta rivelò l´organizzazione interna ed il funzionamento di Cosa Nostra e i nomi dei mandanti e degli esecutori materiali di numerosi delitti di mafia. Tali rivelazioni avevano un enorme valore dal momento che a quei tempi le regole di Cosa Nostra erano ignote, poiché prima di Buscetta quasi nessuno ne aveva mai svelato i segreti, e consentivano per la prima volta agli inquirenti di penetrare in quel mondo. Nella notte tra il 28 ed il 29 settembre 1984, nel giorno di San Michele, venne messa in atto l´operazione di polizia che portò alla cattura di oltre i due terzi dei ricercati. Il 10 febbraio 1986 in un´aula bunker gremita di circa 300 imputati, 200 avvocati difensori e 600 giornalisti da tutto il mondo, si aprì il Maxiprocesso di Palermo. Le accuse includevano omicidi, traffico di droga, rapine, estorsioni, e, ovviamente, il delitto di "associazione mafiosa" in vigore da pochi anni. La sentenza venne emessa il 30 gennaio 1992, le condanne furono tutte confermate, mentre la gran parte delle assoluzioni pronunciate nel giudizio d´appello venne annullata. Durante gli anni del Maxiprocesso ci furono diversi attentati verso i magistrati italiani: nell´estate del 1985 vennero uccisi Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, e lo stesso Falcone divenne obbiettivo di un attentato il 21 giugno 1989. Nonostante l´episodio, Giovanni Falcone proseguì con le sue inchieste, con la sua determinazione, lottando per liberare la Sicilia dal morbo della mafia. Iniziarono a sorgere polemiche intorno alla figura del magistrato, alimentate da invidie, concorrenze e gelosie professionali. Le polemiche sancirono la rottura del fronte antimafia, Cosa Nostra sembrò trarre vantaggio dalla tensione nelle istituzioni, cosa che isolò ancora di più la figura di Falcone. Durante i funerali del magistrato Antonino Scopelliti, ucciso in Calabria il 9 agosto 1991, Falcone sentì l´incombere del pericolo, e confidò al fratello de collega di sapere che sarebbe stato il prossimo. Il magistrato trascorse l´ultimo periodo della sua vita isolato all´interno delle istituzioni, e in un´intervista rilasciata per "Cose di Cosa" dichiarò: "Mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano". La macabra profezia si avverò poco tempo dopo, quando, tornando da Roma il 23 maggio 1992, Giovanni Busca (mafioso della famiglia Altofonte) azionò il telecomando che provocò l´esplosione del tritolo sistemato all´interno dei fustini in un cunicolo di drenaggio sotto l´autostrada che portava a Palermo. La prima auto, quella della scorta, venne investita in pieno dall´esplosione e sbalzata a più di dieci metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Schifani, Dicillo e Montinaro. La seconda auto, guidata dal magistrato si schianta contro il muro di cemento e detriti, proiettando violentemente Falcone e la moglie contro il parabrezza. A un´ora e sette minuti dall´attentato Giovanni Falcone muore dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione e alle 22 muore anche la moglie Francesca; la sera stessa una telefonata anonima rivendicò la strage di Capaci a nome della sigla "Falange Armata". Il 25 maggio si svolgono i funerali delle vittime ai quali partecipa l´intera città, commossa, sconvolta, arrabbiata. Il 27 giugno in Sicilia arrivarono centomila persone da tutto il paese, riempiendo Palermo di taccuini, telecamere, striscioni e bandiere, e la città fu palcoscenico di una grande manifestazione nazionale, durante la quale la gente scese in piazza chiedendo allo Stato un´azione contro il crimine organizzato. La morte di Giovanni Falcone e quella del collega e amico, Paolo Borsellino, avvenuta il 19 luglio 1992 nella strage di via d´Amelio, non furono un fallimento, una sconfitta dei giusti; il loro esempio rappresentò l´inizio di una vera rinascita, che ha spinto le istituzioni a sferrare attacchi sempre più duri nei confronti della mafia. A 23 anni dalla morte di Falcone e Borsellino, la gente non dimentica, i ragazzi continuano a scendere in piazza manifestando a gran voce, sventolando striscioni con i volti dei due magistrati che rappresentano l´esempio del coraggio, della lotta contro la mafia, le ingiustizie, la corruzione. E dopo 23 anni c´è chi ancora non abbassa la testa, c´è chi continua a lottare, a credere in un´Italia senza mafia, perché come disse lo stesso Falcone "Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini".
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